Club Culturale La Viaccia

2°Concorso di poesia “ Bottaccio”
Circolo Ricreativo Arci  Bonelle

 

Bonelle, ottobre 2008

 

POESIA INEDITA IN LINGUA ITALIANA

 

1°classificataDaniela Raimondi –  SermineGeografia per comprendere il mondo
2°classificatoUmberto Vicaretti – Luco dei MarsiI bambini di Cana hanno le ali stanche
3°classificatoLoriana Capecchi – QuarrataMani d’argilla – capelli di grano
4°classificatoGiovanni Caso – RoccafermonteQuando calzammo sandali
5°classificataAnna Natale – CentolaMuratore vorrei una casa

 

 

POESIA INEDITA GIOVANI

 

1° Class. Exequo Andrea Bonfiglio – PTAd Auschwitz
1° Class. Exequo Germano Ciraolo – MEZancle
2° classificato Francesco Jonus – REMondo in nero

 

 

PENSIERI INEDITI

 

1° classificata

 

Vanna Rafanelli da Bonelle (PT)

La macchina da cucire

 

 

Geografia per comprendere il mondo

 

 

È uscita dalla pancia mentre io dormivo. Ci unisce la pace

l’assenza di urla, il mio pudore.

Siamo una tela di Giovanni Bellini:una vergine e un coniglio

gentile

Antonella Anedda

 

Ho ferite sul corpo,

segni, suture.

Due piccoli pozzi scavati sul fianco

dove un giorno calarono

un occhio di vetro,

un magico uncino.

 

Sul ventre ho due teneri solchi:

due esili lune crescenti

dove fecero uscire

dei bambini grassi e lucenti.

 

Non ricordo il dolore.

Dormivo in una barca di carta.

Navigavo senza memoria

astrale

la lingua di sasso.

Ignara degli schizzi di sangue

e dei ferri roventi.

 

Mi svegliai ricucita con fili di seta

Con addosso l’odore di carne bruciata

e sul seno

due figli,

umidi e vivi come gazzelle.

 

Non ricordo il dolore.

Il vento soffiava leggero,

portava una luce azzurrina sul mondo.

Daniela Raimondi

 

 

I bambini di Cana hanno le ali stanche

 

I bambini di Cana hanno le ali stanche,

baciano pietre e fango e, chiuso in petto,

hanno un soffio di vento e un canto breve.

Profondamente dormono, e i capelli

Hanno riccioli arresi sulla fronte.

 

I bambini di Cana hanno smarrito

strade vicoli e case, e più non sanno

se fa giorno o se annotta, e se le braccia

che li avvolgono adagio sono un nido

di seta, o ponte teso per la luna.

 

I bambini di Cana hanno lasciato

le scarpette spaiate e il cuore sparso

tra ferraglie e cemento, e fanno passi

silenziosi e discordi verso terre

dove il fuoco non brucia e dove il vento

non è altro che un soffio che carezza

(eppure a Cana ci fu un tempo in cui

la porpora odorava di prodigi

e il sangue dei bambini era rubino

acceso tra le stelle della notte,

miele redento e intatto alle tempeste.

Oggi le madri affrante, in Galilea,

bevono calici di sale e assenzio,

Getsemani di gridi aggrovigliati).

 

Ora il tempo è finito e, nel silenzio,

i bambini di Cana in mano serrano

sogni appassiti

e piano vanno via.

Umberto Vicaretti

 

 

Mani d’argilla-capelli di grano

 

Un corpo consegnare a fiumi d’erba

fu smania di ragazzi e inquieti uccelli

quando neve di petali spandeva

il melo dentro gli orti fatti d’aria

il tarassaco in veste di nube

ritornava a riempire ogni prato.

 

Qando sugli orli affacciata primavera

era brivido

salto di fosso

curva azzurra di vento che scendeva

a rovesciare mari di trifoglio.

 

E noi appesi a una fionda si andava

col cielo fra le braccia ad inventare

confini d’aria

cerchi di presente

ignari di futuro e di passato.

 

Mani d’argilla

capelli di grano

linfa eravamo

segreto di foglia

teneramente inutile la sfida

dietro la freccia rapida di uccelli.

 

E tutto era fermento

ascesa

volo

stordita leggerezza che trascina

e a strade polverose mette l’ali.

Loriana Capecchi

 

 

Quando calzammo sandali

 

Avemmo giorni d’allegrie e stupori,

la trottola lanciata sul mattino

e il vento delle spighe ad abbagliarci

lo sguardo senza meta, avemmo giorni

di corse per le balze e danze altere

e sillabe asciugate nei quaderni

di cenere e di soffi.

 

E i giorni misero

pensieri d’avventura nella carne

ed era bello il sole sulla vigna,

la strada bianca che lontana andava

ad altra vita. E ci sorprese l’ora

in cui lasciammo il sale delle lacrime

e ci volgemmo altrove, come uccelli

con un fardello di speranze in cuore.

 

Quanti silenzi abbiamo camminato

e gridi ed orizzonti sconosciuti

e i freddi dell’inverno e l’occhieggiare

del mandorlo d’aprile, quanti elenchi

di cose fatte e cose ancor da fare

e righi depennati e righi aggiunti

e note oscure a margine.

 

Un insieme

di sogni nel fermaglio del mistero,

questa è la vita, specola di tempo

che cerca sempre un tempo da capire,

con l’alfabeto appeso alle pareti,

quello che noi imparammo con le immagini

d’un’Oca, d’una Barca, d’una Stella

quando calzammo sandali ed era aurora

Giovanni Caso

 

 

Muratore, vorrei una casa

 

Muratore vorrei una casa

a immagine del cuore,

con gli occhi all’interno”*

 

e le pareti pittate col succo

d’arancia e di limone

per far passare del sole l’oro

e l’argento delle lune nuove.

Mosaici dalle linee intrecciate

sui pavimenti rossi di fornace.

Fra le travi d’un castagno scuro

un lucernario, affinché

/in certe notti estive/

possano cadere sul mio letto stelle.

Stelle leggere come foglie o petali.

Alle finestre vetro azzurro

a ricordare acqua alghe e scogli

del mare non lontano.

Muratore costruiscimi una casa

a immagine del mondo,

con margherite bicolori

tra le tegole di terracotta.

 

 

* antico proverbio berbero

Anna Natale

 

 

Ad Auschwitz

 

Quando del gallo la cresta si erge

non di dissolve della notte il buio

laddove incede l’uomo barcollando

come bestiame verso il mattatoio.

Non brillano le stelle ma le spine

protese aguzze sopra ragnatele

tessute in fil di ferro a ricordare

come soltanto il vento può fuggire.

 

Del gelo più si temono gli artigli

che di bramose aquile rapaci

fintanto che la vita s’assottiglia

sotto le trame di pezze bagnate.

E non si cheta l’eco dei soldati

che pur dell’alba sfidano il silenzio

contando mute schiere di scampati

scherniti senza preferir lamento.

 

Nei calici della clessidra vitrea

la nenia dei granelli si ripete

frenando sì l’ascesa delle ore

lungo l’insidiosa erta del giorno.

Beffarda poi la luna si dilegua

fra le vesti cineree delle nubi

fugando ds’ogni uomo la speranza

di scorgere nel cielo dei barlumi.

 

D’una massiccia corda sfilacciata

gettata oltre la trave tentatrice

s’intrecciano due lembi tra le dita:

soltanto tre gradini, poi la luce.

Andrea Bonfiglio

 

 

Zancle

le Caronìe tue braccia

veston di ricordi

il tuo sguardo afflitto

dal moto della terra

 

arrivo e partenza

son porto di speranza

le lacrime del viso

dell’accogliente Maria

 

ogni midì il biondo gallo

sveglia di un accaldato tempo

dona un dolce saluto

all’attento e distante passante

 

il tuo volto umidiccio

per i mari che incontra

allieta i tanti abitanti

ospiti del tuo albergo reale

 

grazie regina terra

per esistere e resistere

all’indegno passo

di chi ti calpesta

Germano Ciraolo

 

Mondo in nero

 

Culla arcaica, benedetta dal riverbero stravagante, luna

mozzata, tracima dagli orli del torrente luminoso, ferita

sulle ondee, la luce si incolla sulle creste frizzanti spuma,

liquefatta, affonda con arroganza nella crosta cupa, viva.

 

Sogno livree di cobalto,

nel mondo senza odore.

 

I corpi grassi delle barche spanciano appena sulla marea,

sciami quasi invisibili, cercatori infaticabili, pinne affilate

sminuzzano, come argento vivente, le pozzanghere di nafta,

si intravedono guizzi occasionali di specchio, squame…

 

…e luna, manto di perle,

denti che cercano, lama…

 

…assassino, cacciatore impaziente, scorre nella dura carezza

della corrente, istinto brutale, affilato da pura necessità animale,

coagulato in forma reale, omicida invisibile, ammantato di ombre

abissali, la preda riconosce il suo viso, fugge nell’attimo cristallizzato.

 

Denti che cercano,

trovano, precisi.

 

Non c’è lotta, una candida zuffa, che non profuma di morte,

le regole di un mondo in nero, senza pietà altezzosa, stolida

compassione, le parti si rincorrono nel tempo, non c’è pausa

nella natura, la pelle candida della vita, puzza sempre di sangue.

 

Lampo di metallo,

di nuovo giù, nelle

Profondità.

Francesco Jonus

La macchina da cucire

 

Quando comprai

la macchina da cucire

non credevo che a tutto

mi potesse servire.

Quanto tempo

con lei ho passato

e mentre cucivo

con essa ho cantato.

Il suo piano di lavoro

a tutto mi è servito,

vi ho mangiato e vi ho letto

e per scrivere

è risultato proprio adatto.

Sopra di lei

quanti nomi è stato inciso

anche quello del primo innamorato,

pure da toilette mi ha sempre servito

e con lei anche il mio volto si è invecchiato.

Quando davanti a li mi son seduta

è stato sempre

per fare qualcosa;

colei sto così bene

che tutti i giorni

li passiamo assieme.

Lavorando con lei

ho pianto ed ho sognato

ma quante belle cose

assieme abbiamo realizzato.

Vanna Rafanelli

 

I partecipanti al Concorso nazionale di poesia, che abbiamo organizzato per il secondo anno consecutivo, sono risultati cento, con relativi componimenti poetici che raggiungono la cifra di 187. L’80% dei poeti vivono e risiedono fuori dai confini della Toscana e, in particolare, provengono in gran numero da Campania e Lazio anche se dobbiamo affermare, e di ciò siamo felici, che tutte le regioni italiane sono rappresentate.

 

La giuria giudicante del 2° premio di poesia nazionale di poesia “Il Bottaccio” si è già riunita i primi giorni di ottobre fissando alcuni criteri.

La stessa giuria, composta da: Aiuti GiamPaolo, Bisconti Giuliana, Bugiani Carlo, Calderoni Lalla, Carlesi, Cenerini Giovanni, Gargini Stefano, Gemelli Anna, Giudice Serena, Grattacaso Giuseppe, Moretti Mauro, Niccolai Alda, Scarpa Donata e Trinci Giacomo, si riunirà nuovamente il giorno di lunedì 20 ottobre 2008 alle ore 17 ed il giorno di venerdì 24 ottobre alle ore 18.

La  riunione finale sarà fissata per gli ultimi giorni utili prima della premiazione!

 

Un ringraziamento, da parte del Club “La Viaccia” e “Il Bottaccio”, a tutti i poeti partecipanti ed a coloro che hanno concorso all’organizzazione permettendo questo nuovo successo di partecipazione!