Club Culturale La Viaccia

Concorso Nazionale di Poesia “Il Bottaccio”
Circolo ricreativo Leonardo da Vinci 4° edizione 

L’Auditorium del Circolo ARCI di Bonelle, nonostante il periodo di necessaria austerità, è accogliente e dignitoso, adornato in ogni lato da piante e fiori sgargianti, donati da “L’Associazione internazionale produttori del verde” di Moreno Vannucci e, alle pareti, fanno bella mostra di se le pitture degli artisti pistoiesi: Vinicio Giacomelli (Giavin) e Peppino Biagioli. Alle 17,20 le poltroncine rosse della sala sono tutte occupate, tant’è che ne vengono disposte altre; qualcuno è costretto a restare in piedi e tra questi notiamo la presenza dell’Architetto e scrittore viareggino Stefano Carlo Vecoli. L’Assemblea inizia con la proiezione dei film (girati e montati da Marco Bartolomei e Alessandro Tosi) entrambi ispirati al libro di Mauro Meschini “Quel giorno di inizio estate”, presentato a settembre proprio in questa stessa sala, per ricordare la staffetta partigiana Modesta Rossi: contadina, cuoca, animatrice, staffetta, portatrice di armi e sorrisi, che il 29 giugno del 1944 fu trucidata a colpi di pugnale da nazisti e fascisti assieme al figlioletto che teneva ancora al seno. La Cerimonia vera e propria viene introdotta dal coordinatore del Club culturale “La Viaccia” Nicola Giudice e dal saluto della giovane Presidente del Circolo Enrica Fragai. Immediatamente dopo la sala si inonda della musica Folk e Blues del chitarrista e cantante Tommaso Tempestini e dalla calda e straordinaria voce della giovanissima Matilde Moretti, successivamente il saluto delle autorità presenti: l’Assessore alle politiche sociali del comune di Pistoia Rosalia Billero e l’Assessore alla cultura della provincia di Pistoia Chiara Innocenti

Nicola Giudice, Enrica Fragai e Stefano Gargini

 

La Cerimonia è condotta da Giuseppe Grattacaso che da inizio alla premiazione, intervallata dalla musica di Matilde e Tommaso; le prime ad essere premiate sono le poesie segnalate dalla giuria ai presenti Loriana Capecchi e Andrea Bonfiglio; successivamente le poesie vincitrici del Premio (declamate dalla poetessa Lalla Calderoni e da Moreno Fabbri): la seconda classificata della categoria giovani “Ne avevamo già parlato” di Carola Centi; e la prima (sempre della categoria giovani) “Suggestioni” di Riccardo Schina. Quindi la sezione A con la terza classificata “Anche per noi quegli anni ebbero sogni” di Giovanni Caso; la seconda “Frègoe de pan vècio” (Briciole di pane vecchio) di Luciano Bonvento, declamata in dialetto dallo stesso autore, che conferisce ancora più musicalità al testo; infine la prima classificata “Sperimentando gli appigli, i piccoli oggetti, i cimeli” di Domenica Mauri, declamata dal poeta pistoiese e Presidente della giuria Giacomo Trinci. È andato tutto per il meglio e di questo siamo grati a tutti i poeti convenuti, giunti dalle città di Rimini, Rovigo, Salerno, Torino e Livorno. Un ringraziamento a tutti i componenti della giuria (ognuno dei quali ha visionato circa centottanta testi) per la serietà del lavoro svolto, ed in particolare a Giuseppe Grattacaso e Giacomo Trinci che, con i loro consigli e la loro esperienza, hanno permesso che tutto si svolgesse nel migliore dei modi.

Stefano Gargini

 

 

La giuria del III Concorso Nazionale “Il Bottaccio” (ampia e qualificata) composta da: Aiuti Giampaolo, Bisconti Giuliana, Calderoni Lalla, Carlesi Marco, Cenerini Giovanni, Gargini Stefano, Gemelli Anna, Grattacaso Giuseppe, Moretti Mauro, Niccolai Alda, Scarpa Donata e Trinci Giacomo rende note le poesie vincitrici e quelle segnalate del III Concorso nazionale “Il Bottaccio” di Bonelle.

 

SEZIONE A

 

1° classificata – “Sperimentando gli appigli. I piccoli oggetti. I cimeli” di Domenica Mauri

2° classificata – “Frègoe de pan vècio (Briciole di pane vecchio)” di Luciano Bonvento

3° classificata – “Anche per noi quegli anni ebbero sogni” di Giovanni Caso

 

SEGNALATE

 

“Altro non è che un lunario” di Benito Galilea

“La via della seta” di Giovanna Carradori

“Stamattina, ancora una morte in cantiere” di Anna Maria Cardillo

“Uno spezzato girotondo” di Loriana Capecchi

“4/11/1944” di Alessandro Bertolino

 

SEZIONE B (giovani)

 

1° classificata “Suggestioni” di Riccardo Schina

2° classificata “Ne avevamo già parlato” di Carola Centi

 

SEGNALATE

 

“Senza titolo” di Angelica Bellabarba

“Varsavia” di Andrea Bonfiglio

 

 

MOTIVAZIONI SEZIONE A

 

 

1° classificata

 

“SPERIMENTANDO GLI APPIGLI”

di

Domenica Mauri

 

La poesia si regge sopra un’abile, attenta costruzione figurativa di derivazione fra crepuscolare e post-moderna; su questa consapevolezza linguistica si forma il racconto preciso di un’ autobiografia scandita a colpi di flash, intermittenze di oggetti, appigli di una memoria prensile e parsimoniosa, attenta e golosa, insieme.

Notevole è la sicurezza con cui il dettato si svolge nelle sue configurazioni.

 

SPERIMENTANDO GLI APPIGLI. I PICCOLI OGGETTI. I CIMELI

 

Sperimentando gli appigli. I piccoli oggetti. I cimeli

di giorni memorabili o ordinari.

Aprendo i cassetti. Quei vecchi raccoglitori

un po’ disfatti.

Allineando sorrisi. Sfogliando le foto

di chi si è messo diligentemente in posa.

 

Battesimi. Gruppi scolastici.

La prima comunione con le mani giunte.

In grembiule scuro mentre si scrive

una data alla lavagna.

Il bianco e il nero che sfumano

nel giallo di una carta troppo a buon mercato.

 

Sguardi costantemente rivolti all’obbiettivo.

Seguendo con scrupolo le istruzioni del caso.

Dentature in vista. Provvisorie e poi definitive.

Dati sulla conformazione corporea.

L’ossatura. La salute. L’alimentazione.

Le ascendenze.

Le somiglianze.

 

Niente scatti a sorpresa soprattutto.

Parsimonia.

Attenta considerazione dei costi.

Quale fotografo.

Le circostanze.

Dunque le dimensioni dell’immagine.

Tutto ciò che si può sapere.

 

 

2° classificata

 

“BRICIOLE DI PANE VECCHIO”

di

Bonvento Luciano

 

La poesia vibra di una musica antica con parole che sanno entrare dentro l’anima con una fragranza vera. Il pane vecchio di cui si canta in questo componimento forma la sostanza di un tempo che ritorna con violenta dolcezza, come a rendere fertile il nostro spento presente. Elementi di una quotidianità che diventano metafora di un annuncio, di un proustiano ritrovamento.

 

FRÈGOE  DE PAN VÈCIO

 

Frègoe de pan vècio

restà drènto ‘na toàja,

catà stronfagnà tò ‘na cassa in sofita.

Chee ‘tòrna

fiòle del vento e de la tèra,

a ricordarme la belèza di ani in erba

de ‘na cèna poarèta sui zènoci.

Frègoe de pan vècio

chee me disegnava la strada di sogni

su l’andàre de l’àcqua di fòssi,

tra i colori e i profumi di canpi

o tel spetàre dedrìo d’on vero

che smetèsse de piòvare

pa’ vèdare l’arcobaèno.

Frègoe de pan vècio

sue man chee trema

cofà la me anima, òmbre d’infanzia

del tenpo libaro de credare

‘dèsso tel cuore restà putìn.

Frègoe de pan vècio

che me càto ti òci

cofà stèle catà al fio di pensieri

chee ‘tòrna a vivarme drènto

cò paròe vere.

 

 

BRICIOLE DI PANE VECCHIO

 

Briciole di pane vecchio

rimaste dentro una tovaglia,

trovata sgualcita in una cassa in soffitta.

Che ritornano

figlie del vento e della terra,

a ricordarmi la bellezza degli anni giovani

d’una povera cena sulle ginocchia.

Briciole di pane vecchio

che mi disegnavano la strada dei sogni

sull’andare dell’acqua dei fossi,

tra i colori e i profumi dei campi

o nell’attendere dietro un vetro

che smettesse di piovere

per vedere l’arcobaleno.

Briciole di pane vecchio

sulle mani che tremano

come la mia anima, ombre d’infanzia

del tempo libero di credere

ora nel cuore rimasto bambino.

Briciole di pane vecchio

che mi ritrovo negli occhi

come stelle appese al filo dei pensieri

che ritornano a vivermi

dentro con parole vere

 

 

3° classificata

 

“ANCHE PER NOI QUEGLI ANNI EBBERO SOGNI”

di

Giovanni Caso

 

Il componimento è perfettamente bilanciato fra i due tempi di un passato e di un presente incarnato da oggetti, presenze, figure che ne riempiono lo spazio, ha una struttura solida e sicura. L’evidente predominio di un endecasillabo forte e scandito significano il raggiungimento di un equilibrio fra racconto e trasfigurazione lirica e della loro sapiente relazione

 

ANCHE PER NOI QUEGLI ANNI EBBERO SOGNI

 

Anche per noi quegli anni ebbero sogni,

per il paese strepitii di ruote,

il ferro che bruciava nelle oscure

fucine, l’aspro odore del carbone

rovente, e le faville, il caldo volo

di stelle d’un istante.

 

A seminare

la terra non bastavano due braccia,

l’orcio seccava dopo pochi sorsi,

la fronte a solchi aveva cento lune.

Tra siepe e siepe il riso di fanciulle

addolciva l’autunno, a braccia nude

ai rosseggianti pampini. Sfrecciavano

uccelli d’oro.

 

Ora il paese intona

altre armonie, un sillabare lento

di giornali lasciati alle panchine,

fuggenti moto. L’onda della folla

passando ignora il vento, ognuno un guizzo

da portare, chissà, oltre il pensiero.

 

La terra ha sterpi di passate estati,

un intreccio di rovi. E ci somiglia

quell’abbandono, è come il bianco corpo

che portiamo al tramonto, forse incerti

agli incroci, non più radici dure

avvinghiate alla zolla. E né più seme

squarcia il maggese e né più sentimento

veramente s’avventa dentro il cuore.

 

 

 

SEGNALATE DALLA GIURIA SEZ. A

 

 

LA VIA DELLA SETA

 

La via flessuosa della seta

traccia corolle di rose blu,

 

fugge verso splendidi ciliegi in fiore

fra cristalli di neve a primavera,

 

 

rosse pagode e paraventi avorio,

visi di geishe imbiancati per tacere

 

 

nella rassegnazione di ciò che muore

senza far rumore, alla luce dell’oblio.

 

Braccia tese alla calma del silenzio

assorbono sul palmo della mano

 

il sapore mite d’immagini soffuse

struggenti e già vissute

 

nel loro disvelare

il ricordo di un segreto.

 

Piange il cielo la sua neve

per consolare perdite imprendibili:

 

il niente fatto sogno e mai sognato

e quanto splendore sia nello svanire.

 

Se nessuna cosa in noi prevale,

 

lieve il dolore si dileguerà.

 

Carradori Giovanna

 

 

 

STAMATTINA, ANCORA UNA MORTE IN CANTIERE

 

Hanno detto di te

che sei morto stamane

alle sette, in silenzio

venuto giù da quei pali

che aspettano un sole

ancora a quell’ora assopito

nella nebbia rafferma

di un paese qualunque del nord

dove vivono i ricchi

e neanche un amico.

E che l’unico grido

che ha fatto da eco al tuo volo

è stato l’abbàio spaurito di un cane,

venuto, curioso,

a leccare quel sangue

che copriva il tuo viso

d’un altro colore.

 

Hai lasciato di te poco ancora:

un nome straniero, mai scritto

in nessun libro paga,

e una misera branda disfatta,

dove dare il sapor dei ricordi

ad un pezzo di pane e una birra

perché per i sogni,

a doverli comprare,

non avevi denaro,

né giorni abbastanza.

 

Anna Maria Cardillo

 

 

 

 

4/11/1944

 

Erano giorni che non sentivo un gallo cantare:

di sicuro un fuggiasco come noi

(volentieri altrimenti trasformato

da sveglia a colazione); ma non è la fame

di questi tempi la peggior nemica.

 

Rinaldo fuori ha quasi terminato il turno:

è toccato a lui vegliare.

So bene anch’io quant’è difficile

tenere gli occhi aperti la notte

nel bosco, distinguere il fruscio

del capriolo dal passo del soldato,

il fiato della lepre dal rantolo

del cacciatore d’uomini.

 

Ecco la nostra sorte: prede.

Quante cascine abbandonate

ancora visiteremo con le armi,

pregando che nessuno,

nascosto, gridi: “Halt, banditen!”?

quanti ragazzi come noi tremanti cattureremo?

 

Ma inizia ad essere già tardi, sebbene sia

soltanto l’alba bisogna muoversi,

spostarsi verso un altro rifugio.

 

Domenico ha scaldato il surrogato di caffè,

sento il profumo e infatti il suo accento siciliano,

sottovoce mi sta arrivando: “Fofò, il caffè!…”

 

I primi raggi tra i faggi sfidano la foschia

e scendono a intiepidire Cantalupa:

svegliati all’improvviso dal

crepitio lontano delle mitragliatrici

(“provengono dalla baita abbandonata”

dicono, sicuri e mesti in volto, alcuni vecchi),

anime martoriate e demoni uncinati

si preparano ad affrontare di nuovo

un freddo mattino di novembre.

 

Alessandro Bertolino

 

 

 

 

 

ALTRO NON È CHE UN LUNARIO

 

Non voglia il vento più confondere

le orme, non voglia il mare

lasciarmi andare un’altra volta.

 

Sulle colline dalle aie terse, la mia terra

nasconde i figli e li lega ai cieli

delle tane, tra ciliegi e ulivi, ancora

la veste delle donne a fianco dei pagliai

con odore di pane e finocchio selvatico.

 

Nient’altro ho mai desiderato

più di questa terra, nient’altro nelle notti

sull’isola dei nidi dove l’uomo dai capelli

bianchi beveva vino senza guardarmi.

 

Sradicato, con le mani giunte, per me

la terra diventava voce e liete le stagioni

passavano sul petto rivisitando i cento

fiumi della mia gente, da ciotola a ciotola.

Si viveva come i poeti accanto al fiasco,

aggrappati a verdi mensole di sogni.

 

Brani impareggiabili rigenera il tempo

tra il fitto parlottare dei sentieri, lontano

il nibbio a fecondare in pace tra i canneti.

 

E la mia anima è una strada solitaria

dove più volte apparve il volto di mia

madre col mestolo a mezz’aria, la nostra

casa che sembrava un lago dai tre lati

dell’orto, la sera che bruciava sui limoni.

 

Forse più non saliremo alla terra dei vecchi

per guardare mungere le capre coi zapponi in alto,

forse la stagione delle parole nascoste

altro non è che un lunario

staccato dai margini del cielo.

 

Benito Galilea

 

 

 

UNO SPEZZATO GIROTONDO

 

Che leggono, dimmi,

i bimbi africani che grandi hanno gli occhi?

 

Leggono fughe di uccelli e di nubi

verso distesi orizzonti.

Lontani.

Vedono madri chiuse in neri scialli

a consumare il tempo del dolore

le mani vuote scese lungo i fianchi.

E affidano preghiere a un aquilone

a un’ala di farfalla

a un girotondo

che l’innocenza veste del suo canto.

Portano mani all’acqua del ruscello

per ingannare i morsi della fame

o giocano coi sassi da lanciare

a un cielo che li osserva e a sera scende

fedele a ricoprirli col suo manto.

Voci di guerre

clamori

ed intanto

mine antiuomo i fanciulli non sanno

né il lampo di granata che li cinse

nel fulgore ingannevole di stelle.

Ma quanti girotondi ha da spezzare

ancora il potere vestito da agnello?

All’urlo di madri rispose il silenzio.

 

Perdono e condanna

quegli occhi di bimbi che stretti ad un cerchio

ancora una volta cercavano il cielo.

 

Loriana Capecchi

 

 

SEZIONE B (giovani)

 

 

1° CLASSIFICATA SEZ. B (giovani)

 

“SUGGESTIONI”

di

SCHINA RICCARDO

 

La lirica evidenzia una matura consapevolezza linguistica, che si esprime in un ritmo sempre controllato e sapiente. Le immagini si snodano in una progressione di semplice ma persuasiva forza evocativa, che suggerisce legami tra i protagonisti dell’incontro d’amore e gli elementi naturali che lo accompagnano, “suggestioni” ben distribuite nelle quartine e nel distico finale.

SUGGESTIONI

 

Bionda, scioglie i nodi dei

suoi lunghi capelli nell’azzurro

che irrompe dalle finestre,

assorta, pensierosa.

 

Le rare nuvole annunciano

il sole, in questa mattina di marzo;

mi guarda: i suoi occhi sono

verdi come le prime foglie.

 

E la sedia le ha strappato

tre capelli; senza stupore li coglie,

li annoda con cura e l’intreccia.

Poi li abbandona alla

 

brezza della primavera che

mi accarezza di nuovo il viso;

camminiamo lievi nei viali alberati

per paura che un rumore rompa l’incanto.

 

Bionda, scioglie i suoi lunghi

capelli, in questa mattina di Marzo.

 

 

2° CLASSIFICATA SEZ. B (giovani)

 

“NE AVEVAMO GIÀ PARLATO”

di

CENTI CAROLA

 

Il linguaggio quotidiano, sottolineato dal rivolgersi ad un interlocutore quasi in maniera discorsiva, sostiene una lirica che, senza alcuna enfasi ma con abile capacità prosodica, riflette sull’impossibilità di costruire il proprio destino e sulla necessità di adattarsi a quanto è già scritto al di fuori della nostra volontà.

 

 

NE AVEVAMO GIÀ  PARLATO

 

 

Ti ricordi quando parlammo delle Parche?

 

Ho avuto la mia lezione,

 

non ci possiamo imporre al destino.

 

Ho provato a fare intrecciare i nostri fili,

 

ma il risultato è che ci siamo guardati a distanza,

 

ognuno appollaiato al suo.

 

Le nostre vite,

 

devono scorrere parallele, senza congiungersi,

 

questo, è stato stabilito.

 

Ed ora che me ne sono resa conto,

 

con le mie piccole forbici di metallo,

 

ho tagliato la linea sottile di ragnatela

 

che avevo tessuto inutilmente, per avvicinarti a me.

 

Non temere, non sarà difficile.

 

Con il passare del tempo,

 

non ti accorgerai nemmeno di avermi incrociata.

 

 

 

SEGNALATE SEZ. B (giovani)

 

 

SENZA TITOLO

 

Chiunque tu sia,

mano d’amore,

accarezzami

fino a rendermi invisibile,

perché la mia pelle

innamorata e stupita

a te si cederà senza domande.

A te che ami la nuvola

che corre nei miei occhi,

a te che nascondi il cielo

nell’incanto di una parola,

a te che fai d’un largo abbraccio

una canzone senza né tempo né timore.

Tu,

tregua di raggrumate paure,

goccia limpida nei torbidi pensieri

di un’anima tremante,

come filo d’erba che danzi

abbracciato al vento.

 

Angelica Bellabarba

 

 

 

 

 

“VARSAVIA”

 

Di corvi neri nugoli gracchianti

gremivano del ghetto le frontiere

sfasciando della notte sì la quiete

nell’iracondo sbattere dell’ali.

 

Strappate al cielo nero già le stelle

poi spente s’avvistavano su braccia

distese mai più su dell’orizzonte

nell’attimo fugace del saluto.

 

 

S’aprivano portelli di vagoni,

sbuffava la motrice sui binari

e la civetta inquieta strepitava

al ringhio di soldati senza fine.

 

E d’un accordo stridulo la nota

suonata come falce tra le spighe

nei vicoli scandiva poi la messe

che nei sepolcri elesse suoi granai.

 

Si confondeva all’ora del trifoglio

l’onda che muta brezza sollevava

fra lidi colorati d’un tramonto

che rosso di papavero non era.

 

Andrea Bonfiglio